I milanesi tornano a stare insieme con la cultura della “Meneghina”

Si festeggia il centenario non solo con Alessandro Manzoni e Carlo Porta: la tradizione viva è di tutti

Cento anni insieme: la Famiglia Meneghina, associazione storica di tradizioni e cultura cittadina, festeggia i suoi cento anni dalla fondazione nel 1924 con la presidenza di Alessandro Gerli. E gli affetti per la città e la sua vita troveranno la loro espressione con gli eventi in programma, che vedono il patrocinio di Assoedilizia, sorella maggiore con 130 anni di età, e l’affettuoso sodalizio con suo il presidente Achille Colombo Clerici.

La Famiglia Meneghina nasce con il tipico spirito milanese della voglia di divertirsi insieme e di condividere tutto quello che offre una città in tumultuosa espansione e, dopo la II guerra mondiale, risorge con la voglia di ricominciare che è così forte a Milano e si allarga sino a occupare un piano intero di Palazzo Turati, in via Meravigli 7. Poi la città cambia e la socialità assume altre forme, magari meno immediate ma che non hanno allentato i legami di chi, milanese di famiglia o d’ adozione, ha sentito quante cose in comune ci sono tra chi vive in questa metropoli complicata e calda. E oggi l’ Associazione ha trovato un bello spazio per il più prezioso dei ricordi: la biblioteca, aperta a tutti, con 500 volumi antichi, 11mila moderni, raccolte di riviste e 500 manoscritti, ospitata presso un’ altra storica istituzione cittadina, la Società del Giardino. Il catalogo è accessibile online qui: https://a94039uk.eos-intl.eu/A94039UK/OPAC/Index.aspx

Proprio puntando sulla cultura non ufficiale ma viva la Meneghina ha saputo restituire alla città persone, fatti ed eventi che rischiavano di essere dimenticati o di appannarsi nel ricordo: e invece è proprio il passato incredibilmente ricco di Milano che rende così unica la città più multiculturale e accogliente d’ Italia, sin dagli anni Cinquanta con la prima immigrazione. Proprio per questo la Famiglia Meneghina coltiva la tradizione della lingua milanese in tutte le sue declinazioni, con attenzione speciale al teatro e alla poesia, valorizza aspetti attuali della vita milanese con l’istituzione e l’assegnazione del premio “ la mia vita per Milano ” a persone di riconosciuta notorietà e pubblica volumi, almanacchi e strenne dedicati a Milano.

Le iniziative per il centenario ruotano intorno al volume in preparazione, con il contributo di molti autori, dedicato alla storia e agli eventi di Milano e dell’Associazione. Ecco le date già fissate per la presentazione del volume: 10 giugno, presentazione ufficiale presso la Società del Giardino: 26 giugno, Sala Alessi del Comune di Milano – Palazzo Marino; 17 settembre, Sala Colucci di Confcommercio; seconda metà di ottobre ( data da definire ) presso la Fondazione Corriere della Sera; altre date da definire saranno presso il Circolo Filologico, la Società Umanitaria e i 100 Amici del Libro.

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Fonte: Achille Colombo Clerici

Stadio Meazza, la ristrutturazione ora piace a tutti

Al convegno del Centro Caldara i partiti si confrontano sul destino di San Siro

di Saverio Fossati

Qui Stadio, abbiamo un problema. Al convegno organizzato il 15 marzo dal Centro Studi Circolo Caldara di Milano si sono confrontati i soci del circolo con i consiglieri comunali di (quasi) tutti i partiti sulla questione dello Stadio Meazza. Ha colpito comunque, nella serrata discussione, che la ritrovata unanimità sull’ipotesi ristrutturazione serva in realtà ad accusare la maggioranza di averci pensato solo adesso.
Già nel maggio 2023 era stato elaborato, proprio dal Caldara, uno studio articolato sulla diatriba in corso tra Comune e società calcistiche, intitolato Calcio come patrimonio sociale e civico”, piuttosto critico con l’amministrazione comunale. Il gruppo di lavoro era composto da Salvatore Crapanzano (coordinatore anche del dbattito del 15 marzo), Franco D’AlfonsoWalter MarossiGabriele Rabaiotti e Pippo Amato.

Nel documento, viene segnalata  “(…) una oggettiva mancanza di adeguato ruolo del Comune.Palazzo Marino deve inquadrare e utilizzare l’intervento dei privati in un quadro di riferimento più ampio che gli è proprio e gli è dovuto, deve garantire scelte più corrette, ben motivate, sostenibili, controllabili; è stato esaminato in modo non corretto il possibile riutilizzo del Meazza sia come stadio di calcio, sia per altri utilizzi; sono stati utilizzati tempi lunghi, che però non garantiscono un risultato adeguato; si deve trovare una soluzione migliore di quella proposta”.E viene rilanciata la proposta di Franco D’Alfonso, ex assessore della Giunta Pisapia: “Fondamentale la gestione diretta del Comune della questione, costituendo una società sul mercato solo al 49%”. In sostanza, al Comune viene rimproverata un’assenza di impegno rispetto all’attivismo dei club: il Milan che preme per un nuovo stadio a San Donato e l’Inter che vuole restare a San Siro. Per la ristrutturazione è (da sempre) anche Alessandro Giungi, consigliere comunale Pd, che ha partecipato all’incontro con i colleghi Enrico Fedrighini (gruppo misto) e Carlo Monguzzi (Verdi), anche loro pro ristrutturazione.

In sala erano presenti anche l’architetto Giulio Fenyves (Arco Associati, che ha presentato il suo progetto di ristrutturazione che permette di non sospendere le partire durante i lavori) e gli ingegneri Riccardo Aceto e Nicola Magistretti (il loro progetto di ristrutturazione prevede una gradualità di interventi e un costo di circa 350 milioni).

Tutto il dibattito era in sostanza orientato al mantenimento della struttura, con grandi lavori di ripristino, senza la demolizione. Una spinta che va soprattutto in direzione di Palazzo Marino. A introdurre il dibattito è stato Crapanzano, che ha richiamato la necessità di rivolgersi a studi cittadini che collaborino con professionisti e cittadini, evitando le archistar: “Questo è uno stadio che può essere ristrutturato ‘a spicchi’, senza impedire lo svolgimento delle partite, e che dovrà tenere conto anche dell’impatto acustico e ambientale”.

Giungi ha ricordato la sua opposizione con Monguzzi, sin dall’inizio nel 2021, soprattutto a fronte dell’impatto ambientale di un nuovo impianto e dell’affermata impossibilità della ristrutturazione: “E si diceva che era impossibile, che sarebbe costato 500-700 milioni e le squadre non avrebbero potuto giocare durante i lavori. Ma non ero convinto. E c’era un progetto molto serio già all’epoca, con idee che venivano da persone che non avevano interessi. Così da due consiglieri diventammo nove”.

Alessandro De Chirico, capogruppo di Fi in consiglio comunale, ha confermato di aver cambiato radicalmente opinione su demolizione e dopo l’incontro con Fenyves: “Le squadre si sono sedute intorno a un tavolo con il sindaco e c’è stata l’autocandidatura di We build anche se le squadre non hanno ancora dato indicazioni su servizi, posti vip, insonorizzazione, traffico. In settimana il sindaco ha cominciato a parlare di piano B in caso le squadre decidano di continuare i loro vecchi percorsi”.

Secondo Mariangela Padalino, consigliere comunale di Noi Moderati, ha lanciato proposte concrete: “Ci sofferma sul manufatto, che deve restare il più integro possibile squadre e brand San Siro devono restare a Milano. Ma che sia uno stadio per il calcio o per i concerti, occorre agire sulla mobilità: venti o diecimila auto in occasione di partite o concerti che invadono il territorio. E una Ztl che autorizzi chi ha il biglietto non serva assolutamente a nulla. Piuttosto, con gli oneri di urbanizzazione si potrebbe allungare la metro di due fermate sino ai vecchi parcheggi di Italia 90”.

Tommaso Gorini (consigliere comunale Verde) ha richiamato la necessità di un tavolo tra parte provata e parte pubblica per definire i servizi alla cittadinanza, soprattutto quando si parla di cessione dell’impianto e dei terreni: cosa vogliamo ottenere come pubblico in cambio? Ora ci troviamo con una sola proposta di progetto mentre coinvolgendo i cittadini, anche alla luce del piano B, possiamo ragionare in modo più ampio anche su cosa sia il business del calcio, con la visione delle squadre come aziende che producano utile.

Qualche domanda se la è fatta Samuele Piscina (consigliere comunale della Lega): “Se le squadre decidessero di non restare dentro San Siro, cosa facciamo di San Siro, visto che il Comune incassa 3-4 milioni al netto della manutenzione? Se l’alternativa sono solo i concerti è chiaro che la manutenzione deve essere fatta ma dove il Comune può recuperare centinaia di milioni di euro? Per questo ero favorevole alla cessione ma la nostra proposte è di renderlo il più polifunzionale possibile”.

Gabriele Rabaiotti (consigliere comunale di Beppe Sala Sindaco) ha detto che a consentire il ripescaggio dell’ipotesi ristrutturazione sono state le circostanze generali e che “Il progetto debba rispondere all’interesse pubblico, con un processo di valutazione pubblico, ciò che non è accaduto nella prima fase”.

Marco Bestetti (consigliere di FdI) ha ricordato la sua posizione che, al contrario di molte, era ed è rimasto contrario alla demolizione: “La città non veniva coinvolta ma noi decidemmo di promuovere un’assemblea al municipio 7 dove le società hanno dovuto confrontarsi con i cittadini, quindi sono d’accordo con Rabaiotti sull’interesse pubblico. Oggi sembra che l’ipotesi per convincere le società alla ristrutturazione sia la cessione dello stadio e in questo va individuato l’interesse pubblico: per me è il quartiere che vive da decenni il malessere di avere lo stadio, quindi il primo punto è il risarcimento di quel quartiere, con la mobilità e i parcheggi di Italia 90 da riusare, ipotesi rifiutata per ora dalla maggioranza”.

Per Gianmaria Radice (consigliere comunale Riformisti): “Dobbiamo superare un quadro desolante, l’unica cosa veramente importante è che tutto ciò che sia intorno allo stadio sia animato tutti i giorni dell’anno, l’interesse pubblico è nell’area intorno a San Siro. Ricordando che la ristrutturazione del San Carlo è costato 1,3 miliardi, quindi 350 milioni per il Meazza è una cifra irrealistica”. Sono seguiti gli interventi di Marco Carlo Fumagalli (consigliere del gruppo Beppe Sala Sindaco), che ha confermato come la ristrutturazione sia l’unica strada possibile, Carlo Monguzzi, che ha definito surreale la conversione collettiva alla ristrutturazione mentre cinque anni sembrava impossibile per tutti. “E se il Comune ora vuole ristrutturare, perché non ritira il ricorso contro la Soprintendenza che ha evidenziato l’esistenza di vincoli che impediscono la demolizione?”. Filippo Barberis (consigliere Pd) ha cercato di replicare: “Credo che siamo delle grandi opere che in Europa sono molto divisive e complesse con modifiche e ripensamenti dei progetti e non siamo una banda di matti che pensano a dividersi ma che ci siano delle complessità E non ho pareri molto netti su ciò che succederà. E c’è l’insostituibilità dei soggetti privati: non si può fare a meno delle squadre. Ora c’è una finestra di opportunità diversa rispetto alla sensibilità delle squadre e meno onerosa”.

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Fonte: Achille Colombo Clerici

Direttiva case green: onere per lo stato che si rivarrà sui proprietari degli immobili.

di Achille Colombo Clerici

Con l’ approvazione della Direttiva Case green Epbd del 12 marzo, i poteri finanziari che stanno alle spalle degli ambientalisti e dei fautori della politica green europei hanno raggiunto il loro obiettivo.

Quella che, dopo gli accordi del 7 dicembre scorso, sembrava un ridimensionamento della logica green, potrebbe ridursi ad un semplice spostamento, non alla soluzione, del problema.

In effetti l’ onere dell’achievement, net emissions zero 2050, non ricade più direttamente sui proprietari degli immobili, ma viene accollato ai singoli stati.

Il testo della Direttiva presenta un insieme di norme e regole non immediatamente precettive ( cioè contemplanti sanzioni dirette ) nei confronti dei cittadini possessori degli immobili interessati. Per i proprietari immobiliari sicuramente un sollievo, perché l’impostazione normativa li libera direttamente dall’ assurdo e insensato onere connesso all’assoggettamento diretto alle norme unionali, ma comunque siamo di fronte sempre ad un onere che ricade sulle spalle degli stati.

La sua storia risale almeno a 20 anni fa, ed ha le sue antiche radici culturali. Il protocollo di Kyoto ( trattato del 1997– iniziativa che parte dall’ ONU- ratificato dall’Italia nel 2002 ) prevedeva l’ impegno degli stati alla riduzione delle emissioni carboniche ( c.d. gas a effetto serra ) nella atmosfera attraverso misure nazionali, ma in difetto, ammetteva che gli stessi potessero supplire con ” meccanismi flessibili “, basati sul mercato. La chiave di lettura è: ogni difetto comporta un costo, prima per gli stati e poi in via di ricaduta, per i cittadini. Insomma, chi non si adegua di fatto, monetizza.

C’ è da temere che alla finanza internazionale, in ultima analisi, interessi porre le condizioni ( oneri e sanzioni ) per creare posizioni debitorie, degli stati e quindi dei loro cittadini, sulle quali innestare un mercato di titoli

 Un modo di assicurare un prelievo aggiuntivo di risorse a carico degli stati non in grado di stare al passo. A loro il compito di rivalersi poi sui cittadini possessori di immobili non in regola penalizzandoli per il loro inadempimento.

Non vorremmo che nella stessa logica si ponesse anche la normativa approvata dall’ Europarlamento in data 28 febbraio scorso, in tema di ripristino della natura, che fissa l’obiettivo di ripristinare almeno il 20% delle zone terrestri e marine dell`Ue entro i1 2030 e tutti gli ecosistemi entro il 2050.

ASSOEDILIZIA informa

BUON VENERDÌ A VOI TUTTI MIEI SIMPATIZZANTI

 UN CARISSIMO AMICO E PAPA’ CHIEDE IL NOSTRO/VOSTRO SUPPORTO PER SUO FIGLIO “ MATTIA ZENONI “,

CUORE DI PAPA’ VERO, QUINDI VIA TUTTI A VOTARE E UN GROSSO GRAZIE

RICCARDO FERRARI

PROFESSORE DI MATEMATICA CELESTE

Ciao Christian!

Scusa se ti rompo, ma ho fatto un sondaggio sul miglior giocatore del weekend e ho messo tra i candidati Zenoni. Ti giro il link da spammare se volete votarlo 

https://www.sprintesport.it/dilettanti/2024/03/12/sondaggi/mvp-della-settimana-entra-e-vota-il-miglior-giocatore-del-weekend-602561/

L’EUROPA NASCE IN SVIZZERA

L’Associazione Carlo Cattaneo racconta il Movimento federalista dopo Ventotene

Convegno al Consolato d’Italia di Lugano

di Saverio Fossati

Per il federalismo bisogna guardare alle origini: con questo presupposto è stato organizzato presso il Consolato Generale d’Italia a Lugano il 13 marzo il convegno “ Lugano e il movimento federalista europeo ”, che ha visto una vasta partecipazione di pubblico e la partecipazione del presidente di Assoedilizia, Achille Colombo Clerici, fondatore dell’Associazione Carlo Cattaneo, che con la Fondazione Spadolini Nuova Antologia e il Centro di Ricerca on European Affairs ha formato il comitato promotore dell’iniziativa. Presenti anche l’ex console di Svizzera a Milano Marco CameroniAchille Crivelli ( Regio Insubrica ) e Adriano Cavadini (figura politica ticinese). Nel corso dell’evento l’Associazione Carlo Cattaneo ha presentato il suo Quaderno n. 80, intitolato “ Tra conservatorismo e liberalismo – Cultura, fede e politica nel Ticino moderno ( XVI-XIX secolo ) ”.

Ad aprire il convegno è stato Gabriele Meucci, ministro plenipotenziario e console generale d’ Italia, che come ospite ha voluto ricordare che il consolato, che nel 1943 era ancora Casa della cultura, divenne, dopo l’ abbandono delle autorità fasciste, la casa degli italiani che, esuli, si dedicarono anche alla nuova Europa.

Sono poi seguiti i saluti di Giancarlo Dillena, presidente dell’ Associazione Carlo Cattaneo, che ha evidenziato che questo convegno è “ Specialissimo ma di grande rilevanza, perché serve a rinsaldare i rapporti tra un Paese che è uno stato federale e un’ Europa che non lo è ancora ”, Cosimo Risi ( Fondazione Spadolini Nuova Antologia ) e Alberto Sciumè ( Centro di Ricerca on European Affairs ): è stato ricordato che il convegno unisce l’ attualità al dato storico. Perché il biennio a cui si guarda e in cui si radica il movimento federalista europeo è “ Drammaticamente critico ma pieno di opportunità. Un‘esperienza che accomuna un gruppo di politici che è capace di creare un metodo di lavoro che è stato trasfuso nella Costituzione italiana, come emerge anche nei lavori preparatori: una parte della Dc non voleva il Patto Atlantico. Ed è qui che si forma il binomio libertà-pluralità, a far dialogare le regole nazionali con quelle sovranazionali si deve usare questo principio ”.

Marino Viganò, che ha coordinato il dibattito, ha introdotto i temi storici ricordando che “ La seconda categoria dopo i civili e militari allo sbando è proprio quella dei federalisti, a partire dal 13 settembre 1943: tentano da subito di rendere operativo il loro progetto ”.  E ha ricordato il trattato Briand-Kellog del 1928 che, a seguito del trattato istitutivo della Società delle Nazioni del 1919 sanciva il principio che la guerra non può essere un mezzo di risoluzione delle controversie internazionali. Da quella data venne introdotto il concetto di disarmo. Il trattato venne sottoscritto da 163 Paesi tra cui Italia e Germania e fu posto a base del processo di Norimberga.

Nel primo intervento del convegno Francesca Pozzoli ha sviluppato il tema “ La federazione europea nel dibattito pubblico in Svizzera, 1934-1945: giornali, conferenze, case editrici. Ernesto Rossi e Altiero Spinelli, ha ricordato Pozzoli, si erano assunti l’incarico di stendere la parte internazionale del programma ed è per questo che arrivano in Svizzera, avendolo deciso già prima dell’8 settembre, per convocare un movimento internazionale di tutti i movimenti della resistenza. Già Kant sosteneva che per ottenere una pace perpetua era necessario che gli Stati cedessero una parte della loro sovranità a un organismo non centralizzato, una federazione basata sui principi della libertà e della tripartizione dei poteri e con una Corte di giustizia e una forza di polizia internazionale. E da poco era nato il primo stato federale: gli Usa. Che verrà preso a esempio dalla Svizzera, la cui confederazione nascerà 50 anni dopo ”. Proprio Carlo Cattaneo – ha raccontato Pozzoli – faceva riferimento al modello svizzero quando scrive Gli Stati Uniti d’Europa. E le due città simbolo erano Ginevra, che ospitava gran parte degli organismi internazionali ( dove si insedierà la Società delle Nazioni ): ma molti federalisti hanno preso a esempio negativo proprio la Società delle Nazioni. L’ altra città è Basilea, al confine tra Germania e Francia: nel 1934 vi viene creato il primo movimento federalista europeo ( su scala nazionale ), Europe Union, che svolge tra il 1934 e 1938 una politica nazionale forte. Ma con l’ Anschluss la Svizzera torna alla neutralità integrale e il Comitato centrale di Europe Union aderisce alla difesa spirituale e annulla l’ attività politica e rifiuterà il suo appoggio al Movimento federalista europeo quando vorrà organizzare il suo convegno, Anche i movimenti federalisti svizzeri di lingua francese ( come l’ Association Suisse pour la société des Nations ) negheranno il loro appoggio e il Movimento svolge clandestinamente la sua attività. La Federal Union britannica porta il suo influsso nel dibattito dopo l’invito in Svizzera nel 1939. I federalisti italiani capivano che la federazione europea era una necessità impellente proprio a causa della guerra. E alcuni giovani fondano il movimento Pour les états unis d’ Europe.
Il dibattito sulla federazione europea ha avuto spazio sulla stampa? Tutti i giornali ticinesi – ha detto Pozzoli – ne hanno trattato almeno una volta, ma alcune testate in particolare e alcune case editrici che avevano pubblicato scritti di federalisti svizzeri, tra cui Nuove edizioni di Capolago, che avevano pubblicato gli scritti dei federalisti italiani. Il dibattito sulla federazione europea è stato qui di molto presente in Svizzera e reso molto vivo dai federalisti britannici, tedeschi, francesi e, ultimi solo in ordine di tempo, italiani.

Sonia Castro ha dedicato il suo intervento al tema “ Dalla Società delle Nazioni alla federazione europea: europeismo e federalismo in Egidio Reale ”, evidenziando in primo luogo l’approccio storico-giuridico di Reale all’unità europea. “ La sua adesione al movimento federalista europeo – ha detto Castro – è al termine di un lungo percorso. I suoi riferimenti ideali erano la fedeltà al pensiero di Giuseppe Mazzini, Cattaneo, Romagnosi. Nel 1942 confluisce nel Partito d’Azione. Nel suo esilio svizzero ( 1927-1947 ) si dedica agli studi di diritto internazionale. Si sposta a Ginevra per stare più vicino alla Società delle Nazioni, che resta il suo riferimento nel periodo tra le due guerre, e quello della Resistenza, quando aderisce al Mfe ”. Reale voleva dimostrare – ha detto Castro – quanto l’ Italia stesse praticando un sabotaggio mascherato della Società delle Nazioni attraverso i suoi delegati. L’ esperienza storica, scrive Reale, dimostra come i regimi autoritari fossero dispotici all’interno e imperialisti all’ esterno, dimostrando la validità dell’ assunto di Kant e facendo da trait d’ union tra la politica della Società delle Nazioni e il federalismo europeo.
Reale individua i limiti della Società delle Nazioni in: unanimità per le decisioni, difficoltà di applicare le sanzioni, assenza di alcune grandi potenze ( come gli Usa ).
La necessità e l’urgenza di proteggere i numerosi profughi negli anni Trenta ( i russi già dagli anni Venti ) vedevano invece una  progressiva chiusura degli Stati, a fronte del ruolo che la Società delle Nazioni aveva assunto con il “ passaporto Nansen ”. Per Reale il trattato di Washington del 1871 inaugurò l’ epoca doro dei trattati internazionali e dell’applicazione del diritto internazionale nelle controversie tra gli Stati, con la creazione del primo tribunale arbitrale internazionale. Accanto a questo, ha spiegato Castro, Reale propugna un‘ armonizzazione delle normative statali a quelle internazionali e la creazione di un novo ordine internazionale in applicazione di una costituzione internazionale e un richiamo esplicito, nelle costituzioni nazionali, agli organismi internazionali come la Società delle Nazioni. Come aveva fatto la costituzione della seconda repubblica spagnola, che conteneva anche un esplicito rifiuto della guerra: “ Ma ancora prima della guerra tutti gli Stati dell’ Europa centrale orientale abbandonarono le loro costituzioni. Reale aiutò Rossi e Spinelli a creare i contatti necessari con gli altri movimenti europei. Ma l’attività dei federalisti italiani poté essere efficace in Ticino grazie agli antifascisti locali Canevascini, Rusca e Pellegrini. Le Nuove edizioni di Capolago editarono così due classici del federalismo: I problemi economici della federazione europea ( di Luigi Einaudi ) e Gli Stati Uniti d’Europa ( di Ernesto Rossi ) ”.

L’ultimo intervento, di Antonella Braga ( Fondazione E. Rossi – G. Salvemini ) ha parlato di “ Come costruire l’ Europa di domani: l’azione di Rossi, Spinelli, e dei federalisti italiani a Lugano ”: “ Spinelli, Rossi e Colorni avevano in comune il progetto della federazione europea con l’obiettivo di una democrazia sovranazionale ”.  Ciò che non si sa – ha spiegato Braga – che Spinelli non ha avuto un’illuminazione improvvisa a Ventotene nel   ma il Manifesto nasce sulla base di uno scritto di Rossi del 1937 alla madre, dove sono già presenti gli elementi fondamentali: “Per questa visione internazionalista nel 1943 vengono in Svizzera e iniziano le numerose adesioni, da Masini a Formiggini, da Luciano Boris a Giandomenico Sertoli, Giancarlo Pozzi… Ma ci sono anche sono le polemiche contro i federalisti, che non avevano un partito svizzero cui appoggiarsi, a differenza degli azionisti, alcuni dei quali mantenevano diffidenza ( manifestatasi già a Ventotene ) nei loro confronti ”.
In questo contesto Spinelli aveva sostenuto che bisognava dare dignità anche agli antifascisti tedeschi e che non si poteva colpevolizzare l’intero popolo tedesco. Uno degli ultimi gesti di Rossi, ha ricordato Braga, fu l’invio a tutti i rifugiati del manifesto federalista in occasione della Pasqua 1945 che però venne autorizzato solo nel marzo 1945, quando ormai i rifugiati erano tornati nei loro Paesi per partecipare alla fase finale della guerra. “ Vorrei lanciare un appello ai presenti – ha concluso Braga – l’ Europa di domani è ancora da realizzare ma oggi siamo a una svolta epocale del storia europea e quindi dobbiamo ricominciare a pensare alla federazione europea al di qua e al di là della Svizzera ”.

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Fonte: Achille Colombo Clerici

“Unione Europea, da colmare le lacune del sistema istituzionale”

  – Rubrica Assoedilizia, Casa Città Società

di Achille Colombo Clerici

Alcuni fatti ed eventi paradigmatici intervenuti in questo ultimo scorcio di vita dell’Unione Europea ci permettono di riflettere su alcune lacune che appaiono nel sistema istituzionale dell’Unione sul piano dell’equità e dell’etica politica; lacune che vanno colmate.

Penso anzitutto alla sentenza dell’Alta Corte di Giustizia Europea del 14 luglio del 2022 che ha deciso il caso della controversia relativa alla assegnazione ad Amsterdam della sede dell’Agenzia Europea dei Medicinali.

Con questa decisione l’Alta Corte ha introdotto l’idea che nel sistema dell’Unione Europea possano definirsi questioni istituzionali, quindi di natura amministrativa, con decisioni politiche insindacabili sul piano della legittimità. Si tratta di un grave orientamento che legittima la preoccupazione che ci si muova sul piano di agiuridicità, fonte di antagonismi e di conflitti.

Penso alla vicenda del Qatargate del 2023 ( che pone in tutta evidenza la lacuna rappresentata dalla assenza di una giurisdizione penale unionale in materia di reati commessi da esponenti o da dipendenti dell’Unione Europea, nell’esercizio delle loro funzioni) e penso alla politica della transizione ecologica sfociata nelle linee programmatiche in data 14 luglio 2021 del fit for 55 package (55%riduzione emissioni CO2 dal 1990 al 2030: dal 1990 ad oggi siamo ad una riduzione del 20%, per cui si tratterebbe di ridurre il restante 35% in meno di 10 anni ) basato sulle efficienza energetica di mezzi di trasporto, ad es.automotive, attività produttive, edifici, e sulla produzione di energia da fonti rinnovabili.

Penso alla direttiva EPBD sull’efficientamento energetico degli edifici ed alla decisione dell’europarlamento in data 28 febbraio 2024 relativa al ripristino della natura.

Una politica complessiva, quella dell’Unione, basata, più che su valori storici, sociali, culturali, etici condivisi, su una ideologia dai risvolti marcatamente economici che si risolve in una corsa a mettere fuori norma interi settori di economia dei vari stati, creando i presupposti per posizioni debitorie fondate su sanzioni ed oneri degli stati stessi e dei cittadini.

Situazione questa derivante dalla mancanza di caratteri identitari condivisi e codificati. C’è dunque una istanza di natura etico-politica da affrontare, che riguarda, non solo gli imprescindibili principi e i valori superiori (che devono essere valori non negoziabili) cui deve ricondursi l’identità dell’Unione Europea, ma anche la strutturazione ed il funzionamento dello stesso organismo europeo come organismo fondato sul diritto, entrambe precondizioni imprescindibili perché si attui quello Stato di diritto cui si richiama la Commissione europea nel documento sullo stato della giustizia europea inviato al nostro Parlamento nel 2023.

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Passa in Parlamento Ue la direttiva case green (EPBD), spese per 152 miliardi nei Paesi europei

Una norma contrastata e costosa ma scadenze e obiettivi sono stati alleggeriti rispetto alla prima versione

ASSOEDILIZIA INFORMA

di Saverio Fossati

Fonte: Achille Colombo Clerici

Ormai è fatta. Modificata e ammorbidita, La direttiva case green ha incassato stamattina dal Parlamento Ue l’ultimo sì davvero importante (l’ulteriore parere favorevole del Consiglio europeo, formato dai capi dei governi dei Paesi Ue, è infatti scontatissimo) dopo una giornata di discussioni rapide e formali. Del resto il testo appena approvato è il risultato di un faticoso compromesso uscito il 7 dicembre dal Trilogo, cioè da quell’organismo informale ma che ha ormai un ruolo fondamentale, composto da delegazioni del Parlamento, della Commissione e del Consiglio europeo.

Dopo l’approvazione da parte del Consiglio europeo (la data è ancora definire) ci sarà la pubblicazione sulla Gazzetta ufficiale europea e l’entrata in vigore 20 giorni dopo. Ma le scadenze vere imposte dalla norma cominceranno a farsi sentire dal 2025 e in ogni caso i Paesi membri hanno due anni di tempo per il recepimento della direttiva modificata. La Commissione la riesaminerà tra due anni.

I Paesi Ue saranno impegnati con circa 152 miliardi (stimati) per raggiungere gli obiettivi, denaro che dovranno tirare fuori direttamente dai  fondi già stanziati dall’Ue e dai loro bilanci, cioè, in ultima analisi, dai cittadini. Entro un anno la Commissione dovrebbe affrontare il tema dei finanziamenti ma la formulazione è molto vaga.

In sintesi, i contenuti sono quindi gli stessi anticipati nei mesi scorsi. Gli interventi maggiori sono stati sull’articolo 9 della Direttiva, la cui attuazione partirà nel 2026. Ma le linee guida, ancora tutte da definire, saranno determinanti per la concreta realizzazione degli adempimenti, e si deve attendere anche l’esito della trattativa sul regolamento Ecodesign, che stabilirà le caratteristiche dei prodotti per il riscaldamento che potranno essere immessi sul mercato. In ogi caso, ecco cosa prevede ora la direttiva:
1) nuovi edifici: dal 2030 obbligo di costruire tutti i nuovi edifici residenziali a emissioni zero, mentre per gli edifici pubblici l’obbligo parte già dal 2028. Entro il 2050 l’intero patrimonio edilizio esistente dovrà essere a emissioni zero;
2) edifici esistenti: per gli edifici residenziali si conferma l’obiettivo del 15% degli edifici da ristrutturare però, questa è la modifica più rilevante,  questa percentuale non va riferita alla classe energetica del singolo edificio ma alle medie di riferimento per ciascun Paese sul suo intero patrimonio edilizio; e c’è un vincolo: la maggior parte delle ristrutturazioni dovranno riguardare il 43% meno performante del patrimonio edilizio, per evitare che gli obiettivi possano essere raggiunti solo con le prestazioni degli immobili nuovi;
3) i consumi di energia degli edifici residenziali dovranno ridursi del 16% entro il 2030 e del 20-22% entro il 2035;
4) il 16% degli edifici non residenziali con le peggiori prestazioni dovrà essere ristrutturato entro il 2030 e il 25% entro il 2035;
5) dal 2025 non sarà più possibile beneficiare dei bonus fiscali per installare caldaie autonome alimentate da combustibili fossili (come il metano); oggi l’ecobonus è al 50% per le caldaie a condensazione con efficienza almeno pari alla classe A e al 65% per gli impianti che siano anche dotati di sistemi di termoregolazione evoluti; i bonus potranno però restare in vigore per i sistemi di riscaldamento ibridi, come quelli che combinano caldaie e pompe di calore; mentre occorrerà aspettare il testo finale e soprattutto le linee guida per capire se le agevolazioni potranno rimanere per gli apparecchi certificati per funzionare con i gas verdi, come idrogeno o biometano;
6) obbligo di abbandonare i combustibili fossili per ogni sistema di raffrescamento e riscaldamento, a partire dalle caldaie a gas metano, nelle abitazioni, entro il 2040 (il termine ante revisione era il 2035); sarà proibito vendere le caldaie che funzioneranno unicamente a combustibili fossili ma non ci sarà obbligo di rimuovere quelle già installate prima del 2040.
7) l’obbligo di installare pannelli solari sugli edifici sarà limitato agli edifici pubblici (dal 2026) e a quelli privati ma non residenziali di grandi dimensioni (dal 2030), con un’entrata in vigore progressiva. Per quanto riguarda gli edifici residenziali, sarà compito degli Stati membri attuare strategie, politiche e misure nazionali per l’installazione di impianti solari.
8) La nuova Ape  dovrà contenere: l’indicatore che esprime il consumo di energia primaria e finale; il potenziale di riscaldamento globale (GWP); i valori di riferimento dei requisiti minimi di prestazione energetica; le norme minime di prestazione energetica. La classe A sarà attribuita ad edifici a emissioni zero, con la possibilità di aggiungere dei + in caso di utilizzo di fonti energetiche rinnovabili, mentre la classe G attesterà le prestazioni peggiori. Gli attestati per gli edifici in classe inferiore alla D saranno validi solo 5 anni.

ASSOEDILIZIA informa

Sono sei le inchieste in corso della magistratura milanese che riguardano l’urbanistica: quali conseguenze potranno avere sul settore edilizio?

Intervista di Affari Italiani al Presidente di

Colombo Clerici (Assoedilizia


Le inchieste sono sei ma sono a rischio di indagine circa 140 pratiche edilizie avviate con una semplice Scia, e in qualche caso si tratta di immobili già edificati e a rischio sequestro, benché sinora la magistratura non abbia fatto ricorso a questo provvedimento. Se i chiarimenti porteranno a essere considerate illegittime le Scia sinora presentate è evidente che, per quanto possibile, andranno presentate richieste di altri titoli abilitativi; ma la situazione di parecchi cantieri potrebbe diventare a rischio di illegittimità. Con notevoli danni per le imprese e per i promissari acquirenti che abbiano già saldato o versato cospicui acconti.

Ci sarà un rallentamento generalizzato sulle nuove costruzioni?


In questo momento molti cantieri, ma soprattutto gli uffici comunali, hanno rallentato in attesa che con si dettino regole precise entro le quali la Scia possa essere considerata titolo adeguato a svolgere i lavori. La prudenza non è mai troppa. Di fatto stanno andando avanti solo lavori urgenti e per i quali siano stati ottenuti permessi di costruire o realizzati piani attuativi, come gli alloggi per gli atleti (e futuri studentati) nell’ex scalo Romana.

Questo potrebbe generare una pressione sul mercato portando ad un ulteriore aumento del costo del mattone?


Le tipologie delle nuove edificazioni in corso risponde, nella maggioranza dei casi, a una domanda precisa e qualificata che in alcune situazioni potrebbe dar luogo a ripensamenti o (a stato avanzato dei lavori eventualmente dichiarati illegittimi) subire danni a causa di contenziosi lunghi e difficili; ma le imprese più robuste potrebbero ripartire rapidamente sulla base delle nuove regole verificate dalla magistratura e assunte dal Comune.

Milano rimane una città giovanissima e immensa, per citare il titolo di uno dei suoi libri?

Milano, nell’era della globalizzazione, è diventata la punta di diamante del sistema Italia: ha l’onere e la responsabilità di condurre il Paese nella competizione globale. La milanesità è un valore culturale che dobbiamo sempre aver presente e che deve ispirare la vita della nostra città.   Milano, da città fordista connotata da grigiore, è diventata una città umanistica, ricca di coloriture culturali, artistiche, sociali, affascinante ed à la page. proiettata nella competizione globale.

Da cosa deriva la grande resilienza di Milano?

Dipende soprattutto dalla sua cultura, imperniata su un pragmatismo operoso di stampo illuministico giansenista, teso al risultato: quell’ achievement che ormai è diventato l’elemento ispiratore di tutta la politica dell’Unione Europea.  Lo sviluppo economico deve quindi considerarsi un fattore di produzione di risorse, senza le quali la città non può assolvere al suo compito culturale e sociale, sul piano della solidarietà e della inclusività.

Il futuro di Milano ( che, non dobbiamo dimenticare, assolve anche al compito di finanziare il sistema Italia; si vedano i dati del c.d. residuo fiscale)  come città competitor a livello internazionale, si gioca principalmente sullo scacchiere economico per superare la endemica debolezza del nostro Paese, in tema di finanziamenti esteri.

Secondo dati UNCTAD (Conferenza delle Nazioni Unite sul commercio e sullo sviluppo) l’Italia, già fra gli ultimi Paesi europei quanto ad IDE (investimenti diretti esteri nella nostra economia a livello strutturale), ha visto nel 2020, rispetto al 2019, il crollo del 100%  di tali investimenti, al pari dell’U.K. ma contro un calo del 61% in Germania e del 39 % in Francia. Mentre invece gli investimenti esteri di portafoglio (che sono investimenti nei nostri beni) nel periodo immediatamente post-pandemico erano calati mediamente del 15/20 %.

Oggi, secondo recenti dati, Milano è cresciuta in termini di investimenti esteri ed è stata l’unica città in Europa, insieme a Berlino, ad avere superato i livelli pre-covid.

Ma la nostra città, pur presentando una performance migliore di quella nazionale, non raggiunge comunque gli standard delle altre città europee dirette competitrici.

Quali sono le misure da adottare?

La politica da seguire quindi (un vero imperativo categorico) è quella di attrarre investimenti stranieri per innescare il virtuoso circolo economico dell’investimento che attrae altri investimenti, attività, funzioni e presenze. Non solo quindi conquistare e gestire utilmente i fondi del PNRR con i quali Milano potrà già far molto, ma conquistare investimenti esteri privati.

Sullo scacchiere internazionale, non si può sottacere che anche la U.E. non solo non ci aiuta nel compito, ma finisce per ostacolarci, in forza di alcuni meccanismi di formazione delle decisioni europee che si sono nel tempo distorti e producono effetti distorcenti. Ad esempio, a seguito della perdita di ruolo della Commissione europea a favore del Consiglio europeo, le scelte finiscono per basarsi sulla composizione degli interessi confliggenti (espressi da atti politici) dei singoli stati, anziché sull’interesse unionale perseguito dalla Commissione.

Non abbiamo dimenticato la vicenda di EMA-Agenzia europea per i medicinali destinata a Milano che ci è stata soffiata all’ultimo momento a favore di Amsterdam proprio a causa di una maldestra decisione politica.

Bene su questa linea, dunque, l’assegnazione a Milano della terza sede del Tribunale Europeo dei Brevetti.”

Rapporto 2024 di Scenari Immobiliari su negozi e centri commerciali

L’immobiliare commerciale riprende fiato e il lusso è il motore più efficiente

Fiducia e dati positivi alla presentazione del rapporto di Scenari Immobiliari

Di Saverio Fossati

Alla presentazione del rapporto di Scenari Immobiliari “ Nella terra di mezzo ”, dedicato ai negozi e centri commerciali, svoltasi a Milano il 7 marzo e a cui ha partecipato Assoedilizia, il presidente Mario Breglia, nei saluti iniziali, ha ricordato i prossimi appuntamenti del centro di ricerca e ha evidenziato come nell’ outlook di previsione presentato pochi giorni fa il titolo sia “ Il vento è cambiato ”: “ Le sensazioni che abbiamo raccolto dai mercati italiani e internazionali ci dicono che accanto ai dati negativi come guerre e incertezze ci sono elementi positivi come la riduzione del costo del denaro e la ripresa degli investimenti globali, la forza della domanda in tutti i settori, anche quello del commercio come anni di sofferenze. Paradossalmente ci potremmo trovare in difficoltà di prodotto e non certo di domanda ”. L’ evento è stato organizzato in collaborazione con Svicom, il cui chairman Federico Porreca ha tracciato un quadro tutto sommato positivo in relazione ai centri commerciali, mentre Francesca Zirnstein di Scenari Immobiliari, nell’introdurre il convegno, ha affermato che dopo i segnali di ripresa del quarto trimestre 2023 le previsioni per il 2024 sono di un trend di ripresa che accelererà nel 2025.

Federico Rivolta di Scenari immobiliari ha sintetizzato numeri e previsioni del rapporto: “ Gli indici puntano a un ritorno nella nuova normalità, i consumi i dicano il raggiungimento dei livelli pre covid, anche se negli investimenti immobiliari negli immobili commerciali si è registrato un calo del 32,5% rispetto al 2022. Anche l’ e-commerce è cresciuto del 10% nel 2023. Le quotazioni immobiliari sono in crescita dell’ 1,5% in tutta Europa anche per il ritorno dei flussi turistici. Cresciuti anche, dell’ 1 per cento, i canoni di locazione, con Montenapoleone al primo posto in Europa e al secondo nel mondo dopo Fifth Avenue. Calano le transazioni per negozi, botteghe e laboratori, salgono invece quelle di aree commerciali più grandi nei capoluoghi di provincia ”.

L’ evento è proseguito con tre tavole rotonde, la prima delle quali era dedicata a “ Nuove tendenze del retail: la parola agli esperti ”. Armando Garosci di Largo Consumo ha approfondito il tema dell’autenticità: “ La società contemporanea è non solo complessa ma anche contraddittoria, con difficoltà di autorappresentazione da parte delle persone ”. A tutto questo si allinea il retail, spiega Garosci, con un linguaggio diverso e uno sforzo per migliorare le insegne mentre cala il gradimento dell’ esperienza nel negozio, anche nel commercio online. E solo il 16,5% degli addetti può permettersi di cambiare lavoro, caratterizzati da alta scolarizzazione ”.  Giulia Comparini ( Cocuzza & partner ) ha ricordato che l’ asset class retail è stata tempestata negli ultimi anni ma le difficoltà contrattualistiche sono in via di superamento. Certo le clausole Esg vanno articolate a seconda del caso concreto e presuppongono un’ attitudine delle parti a collaborare nella stesura del contratto ”. Comparini ha rilevato anche l’ impatto sul contratto tra tenant e landlord delle nuove tecnologie e dell’attitudine del cliente nel negozio a usare il tablet e agli ordinativi online. “ Il franchising – ha proseguito Comparini – ha avuto un forte sviluppo con conseguenti complicazioni contrattuali, come quelle relative ai resi o al ritiro degli acquisti nei punti vendita ”. Luca Lucaroni ( intervenuto come tavolo retail di Assoimmobiliare ) ha evidenziato le difficoltà dell’ approvvigionamento da fonti rinnovabili per i centri commerciali “ Ma le interlocuzioni con Gse hanno evidenziato la possibilità di utilizzare l’ autoconsumo collettivo senza i limiti delle chair e di usare anche le parti comuni e di poter ottenere gli incentivi anche per più impianti fotovoltaici sotto il mW all’interno dello stesso centro commerciale ”. Roberto Zoia ( Cncc ) ha ricordato che “ Nelle nostre strutture passano ogni anno due miliardi di persone, quindi ascoltiamo le persone e conosciamo le tendenze. E questo consente la gestione della contrattualistica di migliaia di negozi ”.

La seconda tavola rotonda “ Lo shopping fa bene alla salute nei centri urbani ” ha visto l’ intervento di Niccolò Suardi ( Colliers International Italia ), dedicato alle high street: “ Si parla sempre di resilienza quando si parla di retail e in un convegno a Londra si parlava proprio di resilienza in riferimento all’ Italia, dove gli investimenti italiani nel manifatturiero sono saliti dal 30% al 40 per cento. Il lusso è esploso in particolare a Milano e il trend dei medals cresce perché sono brand sfruttati dal mondo del lusso, che crescono così ancora di più. La high street sta cambiando aprendosi agli outlet e le aperture sono cresciute a 3mila, il 20% in più rispetto al 2019 pre covid mentre solo l’ 1,5% dei negozi che ha chiuso nel 2023 ”. Semmai, sottolinea Suardi, può cominciare a mancare il prodotto, per la scarsa qualità degli immobili. E brand che hanno fatto degli outlet il loro core business ( Ralph Lauren ) stanno cerando di venire in centro città. Per Emmanuel Conte, assessore al bilancio e al patrimonio immobiliare del Comune di Milano, ha parlato della Galleria Vittorio Emanuele II: “ 71 contratti attivi stipulati con 53 concessionari, 39.838 metri quadrati contrattualizzati e una resa di 67,7 milioni di euro. La Galleria è tutta pubblica e 15 anni fa rendeva 8 milioni di euro. È quindi in grado di finanziare i servizi della città e aumenta la redditività degli immobili del centro. Dall’ arrivo della direttiva Bolkenstein abbiamo potuto portare avanti le gare all’ incanto e formare un mix funzionale somministrazione-commerciale di successo, valorizzando anche i piani alti e spostando gli uffici dei consiglieri comunali al terzo piano per permettere la verticalizzazione degli spazi. E nell’ ottica medals ci sarà il raddoppio del Museo del Novecento con l’ unione dei due arengari ”. Gioia Martini de La Martini ( che gestisce una parte della galleria Cavour di Bologna ) ha raccontato la storia dell’ investimento, nato dall’ unione dei brand del lusso con la centralità del luogo: “ Ma c’ è una ricaduta positiva anche a livello di socialità, perché il lusso apre la mente ”. La tavola rotonda si è conclusa con Nicola Sajeva di Prelios Sgr ( galleria Alberto Sordi a Roma ): “ Si tratta di circa 10mila metri quadrati con rilevante pregio architettonico – ha detto Sajeva – e nel 2020 abbiamo pensato un progetto per riqualificarla, concluso da pochi mesi: anzitutto eliminando le grandi vetrate d’ ingresso che creavano una cesura con l’ esterno, per cercare una maggiore compenetrazione. Poi abbiamo adattato le vetrine alle esigenze dei retailer, rimodulato le unità da 27 a 15 unità commerciali, molte saranno già vive da qui all’ estate, rinnovato l’ aspetto illuminotecnico con attenzione al risparmio energetico. Così abbiamo potuto riposizionare sul mercato gli spazi e abbiamo un 85% di occupancy, con un mix merceologico molto ampio, con 11 unità di shopping e 4 di food & beverage. E un fatturato previsto di 100 milioni ”.

Il tema della tavola rotonda conclusiva “ Gli spazi per il commercio: da banchi di vendita a infrastrutture per per la comunità ” è stato partecipato anzitutto da Pieri Luigi Paolettoni ( Cbre Italy, che gestisce 150 centri commerciali ), che ha evidenziato il superamento dei dati pre covid del 2019 nel fatturato con un + 6,1% e + 4% sul 2023 ma non ancora nei visitatori “ Mentre gli scontrini sono in salita, cresciuti anche come scontrino medio rispetto al 2019. Il cinema, invece, ha recuperato solo il 70% del periodo precedente. In crescita, più in dettaglio, abbigliamento, cura alla persona, ristorazione, servizi e articoli per animali, in calo elettronica, casa e fai da te ”. Tomaso Maffioli ( Promos ) ha portato l’ esperienza degli outlet, sono poi seguiti gli interventi di Raffaele Rubin ( Josas ) e i due case history illustrati da Anand Remtolla ( case history Merlata Bloom ) e Gabriella Pelosi ( Generali Real Estate con il case history Centro LeonardoThe wow side ” ).

ASSOEDILIZIA INFORMA

Unione Europea, da colmare le lacune del sistema istituzionale”

Riceviamo da: Achille Colombo Clerici e, pubblichiamo

Riccardo Ferrari, direttore della comunicazione

Alcuni fatti ed eventi paradigmatici intervenuti in questo ultimo scorcio di vita dell’Unione Europea ci permettono di riflettere su alcune lacune che appaiono nel sistema istituzionale dell’Unione sul piano dell’equità e dell’etica politica; lacune che vanno colmate.

Penso anzitutto alla sentenza dell’Alta Corte di Giustizia Europea del 14 luglio del 2022 che ha deciso il caso della controversia relativa alla assegnazione ad Amsterdam della sede dell’Agenzia Europea dei Medicinali.

Con questa decisione l’Alta Corte ha introdotto l’idea che nel sistema dell’Unione Europea possano definirsi questioni istituzionali, quindi di natura amministrativa, con decisioni politiche insindacabili sul piano della legittimità. Si tratta di un grave orientamento che legittima la preoccupazione che ci si muova sul piano di agiuridicità, fonte di antagonismi e di conflitti.

Penso alla vicenda del Qatargate del 2023 ( che pone in tutta evidenza la lacuna rappresentata dalla assenza di una giurisdizione penale unionale in materia di reati commessi da esponenti o da dipendenti dell’Unione Europea, nell’esercizio delle loro funzioni) e penso alla politica della transizione ecologica sfociata nelle linee programmatiche in data 14 luglio 2021 del fit for 55 package (55%riduzione emissioni CO2 dal 1990 al 2030: dal 1990 ad oggi siamo ad una riduzione del 20%, per cui si tratterebbe di ridurre il restante 35% in meno di 10 anni ) basato sulle efficienza energetica di mezzi di trasporto, ad es.automotive, attività produttive, edifici, e sulla produzione di energia da fonti rinnovabili.

Penso alla direttiva EPBD sull’efficientemente energetico degli edifici ed alla decisione dell’europarlamento in data 28 febbraio 2024 relativa al ripristino della natura.

Una politica complessiva, quella dell’Unione, basata, più che su valori storici, sociali, culturali, etici condivisi, su una ideologia dai risvolti marcatamente economici che si risolve in una corsa a mettere fuori norma interi settori di economia dei vari stati, creando i presupposti per posizioni debitorie fondate su sanzioni ed oneri degli stati stessi e dei cittadini.

Situazione questa derivante dalla mancanza di caratteri identitari condivisi e codificati. C’è dunque una istanza di natura etico-politica da affrontare, che riguarda, non solo gli imprescindibili principi e i valori superiori (che devono essere valori non negoziabili) cui deve ricondursi l’identità dell’Unione Europea, ma anche la strutturazione ed il funzionamento dello stesso organismo europeo come organismo fondato sul diritto, entrambe precondizioni imprescindibili perché si attui quello Stato di diritto cui si richiama la Commissione europea nel documento sullo stato della giustizia europea inviato al nostro Parlamento nel 2023.