INVECCHIAMENTO: nel 2050 i -giovani di ieri- supereranno i -giovani di oggi-

il 12% della popolazione mondiale ha più di 60 anni [ in Lombardia ci sono oltre due milioni di persone con oltre 65anni ]. Gli ultrasessantenni diventeranno fra vent’ anni il 21%. E’ la fotografia scattata dall’ ultimo studio Ocse sulla situazione dell’ anzianità nel mondo.

L’ invecchiamento della popolazione è la risultante di due fattori: diminuizione della natalità [ Negli anni Settanta la mnedia dei figli nei Paesi Ocse era di 2,7 per donna, oggi siamo a 1,7 ], e allungamento della vita media. Il fenomeno dell’ invecchiamento non può non avere significative ripercussioni sociali e importanti effetti sui diversi aspetti della vita: lavoro – pensione – salute . . .

Le stime prevedono oltre due miliardi di anziani entro il 2050, ci saranno cioè più over 65 che under 16 e sarà la prima volta nella storia dell’ umanità. Un fenomeno al quale non sono estranee le nazioni in via di sviluppo, dove già ora vivono oltre il 60% degli ultrasessantenni del mondo.

SALUTE: di quì la necessità di costruire e pianificare politiche, sopratutto sanitarie, che tangano in considerazione il rapido invecchiamento della popolazione.

Se fino ad oggi il principale obbiettivo è stato quello di migliorare sempre di più i servizi per acuti, acquisire nuove tecnologie innovative e costruire nuovi ospedali, il futuro richiede un cambio di rotta che sposti il baricentro della cura dei sempre meno episodi acuti alla moltitudine della necessità di paziente sempre ” cronici “. Una fotografia che riporta in primo piano il ruolo della medicina di famiglia e l’ impronta della continuità assistenziale ospedale-territorio, che coinvolge svariati attori sul campo.

Un esempio per tutti, a dimostrazione di quanto gli attuali sistemi sanitario siano inadeguati rispetto alla crescente complessità di una popolazione sempre più vecchia, è la demenza: oggi interessa 45 milioni di persone, destinate a diventare oltre 75 milioni entro il 2030, con i tassi più alti in Francia, Italia, Svizzera, Spagna.

LAVORO: oltre al tema della salute, lo studio prende in esame anche altri aspetti legati alle tendenze demografiche in atto.

Innanzitutto, tengono a specificare gli autori, vanno sfatati due miti:  che gli anziani tolgono lavoro ai giovani e che con l’ avanzare degli anni la capacità lavorativa si deteriori.

In area Ocse il 57% della fascia di etrà compresa tra il 55 e il 64 anni è ancora al lavoro, con picchi di Islanda [ 83% ], Svezia [ 74% ], Norvegia [ 72% ] e Svizzera [ 71% ]. Le percentuali più basse sono in Turchia [ 31% ], Grecia [ 33% ] e Slovenia [ 36% ].

PENSIONI: una riflessione sul problema pensionistico non poteva certo mancare, come aaspetto strettamente collegato all’ invecchgiamento della popolazione. Pensioni più basse e problemi di sostenibilità fiscale – dovuti ai costi extra generati dal maggior numero di anni trascorsi in pensione rispetto ai contributi versati durante gli anni lavoro – sono due degli aspetti che i governi si troveranno a fronteggiare.

Versare più contributi e più a lungo non può però essere la soluzione migliore, nè tantomeno più equa. Per di più i pensionat delle prossime generazioni  saranno molto diversi dai pensionati di oggi; alcuni saranno stati disoccupati a lungo, altri avranno avuto lunghi periodi di bassi compensi, soltanto alcuni continueranno a godere di buoni stipendi e di posti stabili. Il gap quindi tra chi guadagna molto e chi guadagna poco si allargherà sempre di più. Se è vero che l’ essere più povero va di pari passo con il non godere di buoba salute, la vecchiaia per i giovani d’ oggi potrebbe essere assai meno dorata di quella che osservano oggi nei loro genitori.

E’ bene dunque – sembra suggerire lo studio – perchè la vecchiaia << non sia la più inattesa tra tutte le cose che possono capitare ad un uomo >>, cominciare da subito a farci un pensierino. Non più ” che cosa fartò da grande? “, ma ” Che cosa farò da vecchio “.

SIMPATIZZANTE - CONVENZIONI

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