Il rispetto della moglie e della schiava

Di:  (  Giovanni Ghiselli  )
Nel I canto dell’ Odissea, quando scese la buia sera, i Proci tornarono nelle loro case per dormire, e pure Telemaco andò a letto, accompagnato dalla saggia Euriclea, che Laerte aveva comprato quando era ancora nella prima giovinezza, per venti buoi: e pertanto doveva essere stata anche bella assai, e desiderabile.

Il re di Itaca l’ aveva onorata come una sposa, però non si era mai unito a lei. Così evitava la gelosia della moglie Anticlea, la madre di Odisseo. “  Omero, anche se naturalmente non pensa neppure alla possibilità di fare a meno degli schiavi, parla sempre di essi con tenerezza mista a imbarazzo. La schiavitù è per lui qualcosa di terribile che può capitare a chiunque e può ‘portar via ad un uomo metà della sua umanità’. Gli eroi
sono gentili con gli schiavi Eumeo ed Euriclea, come con i loro pari  ”.

Anticlea, la moglie di Laerte, doveva trarre ben più grandi soddisfazioni affettive dal figlio che dal marito: infatti, quando Ulisse, che l’aveva lasciata viva partendo da Itaca, la incontra fra i morti e le domanda quale dea della morte l’ abbia uccisa, la donna risponde: è stata la mancanza di te, e il preoccuparmi di te, splendido Odisseo. Le parole di Anticlea si possono confrontare con il consiglio che Nausicaa dà a Ulisse nel VI canto: gli suggerisce di chiedere aiuto non al re Alcinoo, suo padre, ma alla regina Arete, sua madre, se vuole vedere il dì del ritorno. “  Passa davanti a mio padre e getta le braccia alle ginocchia della madre nostra  ” (  vv. 310-311  ). ”  La posizione sociale della donna non fu mai più, presso i Greci, così elevata come sul declinare del periodo cavalleresco omerico. Arete, la consorte del principe dei Feaci, è onorata dal popolo come una dea.

Ne compone i litigi col suo presentarsi e determina le decisioni del marito col suo intervento o col suo consiglio. Per ottenere di ritornare ad Itaca con l’ aiuto dei Feaci, Odisseo, dietro suggerimento di Nausicaa, non si rivolge in primo luogo al padre di lei, al re, ma abbraccia implorando le ginocchia della sovrana, ché decisiva è la benevolenza di questa per far esaudire la preghiera. Nel’ Odissea l’ adultera Elena ha riconquistato la sua rispettabilità, anzi la supremazia dovuta al fatto di essere figlia di Zeus e di avere imparentato anche Menelao con il dio supremo: il re di Sparta, quale genero di Zeus, non morirà ma verrà mandato dagli dèi nella pianura Elisia, ai confini della terra dov’è il biondo Radamanto, dove la vita per gli uomini è facilissima: non c’ è neve né inverno rigido, né pioggia, ma soffi di Zefiro che spirano dall’ Oceano a rinfrescare gli uomini (  vv. 563568  ).

Nel IV canto Elena entra nella sala del banchetto scendendo dall’alto talamo profumato, simile ad Artemide dalla conocchia d’ oro (  vv.121-122  ). La figlia di Zeus quindi siede sul trono, servita, riverita e fornita di una conocchia d’ oro con lana violetta poggiata in un cesto a rotelle, d’ argento, con i bordi rifiniti d’ oro, colmo di filo ben lavorato. Poi prende a parlare: e tutto quello che fa e dice è molto signorile:”  Nell’ Odissea Elena, tornata col primo marito a Sparta, è descritta quale prototipo della gran signora, modello di eletta eleganza e di suprema compitezza e maestà rappresentativa. E’ lei a dirigere la conversazione con l’ospite, e incomincia graziosamente col rilevare la sorprendente somiglianza di famiglia, prima ancora che Telemaco le sia presentato. Ciò rivela la sua magistrale superiorità in quell’ arte. La rocca, senza la quale è impensabile la virtuosa massaia, che le serve le collocano dinanzi quando viene a prender posto nella sala degli uomini, è d’ argento, e il fuso d’ oro. L’ uno e l’ altra, per la gran signora, non sono più che attributi decorativi  ”.

Sul tema dell’ antifemminismo, sentiamo per un attimo Cesare Pavese:”  Quei filosofi che credono all’ assoluto logico della verità, non hanno mai avuto a che discorrere a ferri corti con una donna  “. inesorabilmente misogina. Sotto il paravento di un affetto paternalistico, peraltro assai fragile, l’ eroe omerico diffida della donna, foss’ anche la più devota e sottomessa. Ulisse, tornato a Itaca, aspetta di aver ucciso i Proci, prima di rivelarsi alla moglie. Egli si rivela a Telemaco, a Euriclea, a Eumeo: a Penelope, invece, solo dopo che la vendetta è stata compiuta. E non a caso … Con la donna non essere mai dolce, non confidare ogni parola che sai, ma dì una cosa, e lascia un’ altra nascosta, gli aveva consigliato l’ ombra di Agamennone nell’ Ade.

Agamennone (  ucciso dalla moglie Clitennestra  ), aveva, questo è vero, i suoi buoni motivi per pensarla così. Ma dalla sua esperienza personale aveva tratto una generalizzazione: Altro ti voglio dire e tu mettilo in cuore: nascosta, non palese, alla terra dei padri fa approdare la nave: è un essere infido la donna. Neanche Penelope, dunque (  che, pure, Agamennone loda per la sua fedeltà  ), è al riparo dal sospetto  ”. Vediamo meglio questa storia della misoginia di Agamennone. Nel canto dei morti dell’ Odissea (  XI  ), appare a Ulisse l’ ombra di Agamennone che è stato scannato come un bue dalla moglie e dall’ amante di lei, Egisto. L’ ex capo degli Achei combattenti a Troia dunque dice a Odisseo: “  Non c’ è altro elemento più atroce e cane di una donna che tali orrori si getti nell’ animo. Quel perfido mostro, Clitennestra, ha meditato un misfatto sconcio e ha coperto di infamia tutte le donne future  ”.

A dirla tutta, Agamennone tornò da Troia con Cassandra, la bellissima e folle figlia di Priamo. Euripide, nell’ Ifigenia in Aulide, userà questo e altri argomenti per giustificare e rivalutare Clitennestra. Ma qualche giustificazione dell’ odio di Clitennestra possiamo indicarla già ora: Agamennone nell’ Iliade afferma di preferire Criseide alla moglie in quanto la schiava-amante non era inferiore a sua moglie ” né per il corpo né per la figura né per la mente né per le opere ” (  I, 115  ). Leggendo l’ Agamennone di Eschilo anzi pare che sia stato questo amore ancillare troppo elogiato a mettere in moto il risentimento di Clitennestra che dopo l’ assassinio dello sposo grida: giace a terra il distruttore di questa donna, la delizia delle Criseidi sotto Ilio. Ma torniamo al canto dei morti dell’ Odissea e concludiamo l’ argomento. “  Tu, continua Agamennone, non essere mite con la donna, e non confidarti: fai approdare la nave di nascosto: con le donne non ci sono patti fidati  ”. Nausicaa

Quanto a Nausicaa, si tratta di una ragazzina cui Atena manda un sogno per disporla a innamorarsi di Odisseo e ad aiutarlo. L’ Itacese coglie l’ occasione che gli è stata offerta, ma certamente non abusa dell’ inesperienza della fanciulla che non subisce violenza né alcuna molestia. Alla fine la giovanissima principessa di Scheria, l’ isola dei Feaci, saluta il suo seduttore spirituale dicendogli con grande delicatezza: “  Sii felice, ospite e, tornato alla terra dei padri, ricordati di me siccome a me per prima devi la vita  ”. Odisseo ricambia l’ augurio con piena riconoscenza del beneficio ricevuto: “  Tu in effetti mi hai salvato, ragazza  ” (  v. 468  ). Ha ragione Nietzsche: ”  Bisogna prendere congedo dalla vita come Odisseo da Nausicaa: benedicendola, più che restandone innamorati  “.

Secondo Fausto Codino, la figlia di Alcinoo è nei poemi omerici ”  l’ unico caso in cui si trova rappresentato il nascere e il crescere del sentimento amoroso. Il personaggio di Nausicaa gode naturalmente le simpatie di tutta la critica moderna. Nel suo caso Omero non solo parla dell’ evolversi di un sentimento privato dominante ed esclusivo, ma lo mette al centro del racconto, rinnovando risolutamente per questo la tecnica della narrazione epica: l’ episodio del libro VI dell’Odissea è retto da un pensiero che si era già visto nascere e crescere nella mente della fanciulla prima dell’ incontro, il quale è osservato e descritto dalla parte di lei. Nella vicenda del ritorno di Odisseo, Nausicaa è soltanto una figura strutturale episodica che poi scompare, è un personaggio di raccordo. Basterebbe dunque un cenno alla sua funzione positiva nei piani del reduce. Invece il poeta fa dei suoi vagheggiamenti amorosi il motivo dominante di tutto l’ episodio…

Nausicaa è nell’ età in cui anche nella Grecia arcaica, si può credere, le adolescenti lasciavano i giochi fanciulleschi per infatuarsi nel pensiero dello sposo, s’ invaghivano del primo ospite bello e forte che capitava e conoscevano la prima delusione. Ma che fa Odisseo di fronte alle acerbe seduzioni di Nausicaa? Intesse un idillio, educa paternamente gli slanci della fanciulla inesperta? Niente, pensa ai suoi progetti e sul piano sentimentale non c’ è alcuna comunicazione fra i due: Odisseo non corrisponde, né finge di corrispondere, né lusinga, né tradisce la fanciulla: non mostra neppure di comprenderla, non si sa neppure che cosa pensi di lei. Eppure egli è civile e cortese, per naturale cortesia rivolge a lei il primo delicato discorso  “. Vero è che Nausicaa, stimolata e predisposta da un sogno mandatole da Atena, sogna le nozze, ma Odisseo non fa niente per illuderla.

Egli si adopera per la propria salvezza e, veramente, la lusinga facendole dei complimenti da agiografo ma non si propone come marito o amante di lei. La vezzeggia come può fare un padre con una figlia affettuosa e carina. Il fatto è che “  I fanciulli trovano il tutto nel nulla, gli uomini il nulla nel tutto  ” (  Leopardi, Zibaldone  ). L’ utile presente nelle testa di Ulisse, il profitto e il vantaggio, appaiono contrastanti con l’amore il quale, è vero, deve essere assolutamente gratuito. Ma Ulisse non propone il proprio amore alla ragazza. Del resto che cosa c’ è di tanto positivo nell’ amore quanto l’ aiutarsi gratuitamente a vicenda? Questo aiuto comporta la gratitudine, che è uno dei sentimenti più belli, e Odisseo la manifesta alla fanciulla che lo ha aiutato.

Ma leggiamo cosa dice l’ uomo provato all’ adolescente inesperta: ”  Ti prego, signora, sei forse tu un dio o un mortale? Se davvero sei un dio, di quelli che abitano l’ ampio cielo, ad Artemide io, alla figlia di Zeus grande, per aspetto e statura e figura ti assomiglio assai da vicino. Se invece sei uno dei mortali, che dimorano sulla terra, tre volte felici certo per merito tuo il padre e la veneranda madre, tre volte felici i fratelli: molto, credo, a loro l’ animo tutte le volte di letizia si scalda per te quando vedono un tale germoglio entrare nella danza. Ma quello nel cuore è in modo speciale il più felice al di sopra degli altri che carico di doni nuziali ti porti a casa. Non ancora infatti una tale creatura io vidi con gli occhi, né uomo né donna: venerazione mi prende a guardarti. Invero una volta a Delo presso l’ altare di Apollo siffatto vidi alzarsi un nuovo virgulto di palma.

Arrivai infatti anche là, e molta gente mi seguì per quel viaggio nel quale cattivi affanni era destino che ci sarebbero stati per me. E così allo stesso modo vedendo anche quello rimanevo stupito nell’ animo a lungo, poiché non ancora un tale fusto si era alzato dalla terra, come te, donna, ammiro e sono preso da stupore e temo terribilmente di toccarti le ginocchia: ma un duro dolore mi pervade” (  vv. 149-169  ). Odisseo, nel suo encomio totale, assimila la ragazza prima alla dea Artemide, la dea vergine, signora delle fiere, poi a un germoglio e a un virgulto, mettendone in risalto la sacra naturalezza. Si pensi che Saffo per nobilitare un uomo lo paragona a un vegetale: A che cosa, caro sposo, posso paragonarti con efficacia? A un giovane ramo flessibile ti paragono precisamente (  fr. 127 D. ).

Aristocratica è la classe di provenienza di Saffo, come l’ educazione impartita alle allieve, ma niente è nobile quanto la natura, la quale è aristocratica, “  più aristocratica di qualsiasi società feudale basata sulle caste  ”. E alla natura come modello, siccome ricca di bellezza, indirizzano la loro attenzione tanto la poetessa di Lesbo quanto Omero.
La ragazza virgulto, fiore, erba La ragazza bella e vivace ha evocato diverse volte il ricordo di una forza rigogliosa della natura. Nel Cantico Dei Cantici lo sposo dice alla sposa:”  La tua statura rassomiglia a una palma e i tuoi seni ai grappoli. Ho detto:”Salirò sulla palma, coglierò i grappoli di datteri; mi siano i tuoi seni come grappoli d’ uva e il profumo del tuo respiro come di polmi  “.

Leopardi definisce ”  una giovane dai sedici ai diciotto anni…quel fiore, insomma, quel primissimo fior della vita  “. Questo aspetto non è ignorato dal seduttore di Kierkegaard: ”  Slanciata e altiera ella era, misteriosa e grave come un abete, un virgulto, un pensiero, che dal grembo della terra germogli verso il cielo, incomprensibile, incomprensibile perfino a se stesso, un tutto che non ha parti…Questa essenza della donna…viene indicata giustamente come Grazia, espressione questa che ricorda la vita vegetativa; ella è come un fiore, piace dire ai poeti, e perfino quel che in lei c’è di spirituale ha alcunché di vegetativo  “. Proust individua nei capelli di Gilberte qualcosa di naturale e di sacro, come Ulisse in Nausicaa: ”  Le trecce di Gilberte in quei momenti mi sfioravano la guancia.

Nella finezza della loro gramigna, naturale e soprannaturale ad un tempo, nel volume dei loro accurati viticci, esse mi sembravano un’opera unica per cui si fosse utilizzata l’ erba stessa del paradiso”. La ragazza è vista come entità sacra e naturale nello stesso tempo. Anche l’accostamento della donna adulta alla natura è un topos letterario; anzi Mircea Eliade nel Trattato di storia delle religioni fa notare che ”  l’ assimilazione fra donna e solco arato…è intuizione arcaica e molto diffusa”. Per questo tipo di similitudine, volto a significare la fertilità e la maternità piuttosto che l’aspetto primaverile e adolescenziale, si possono trarre esempi da un paio di tragedie sofoclee.

Nel quarto stasimo dell’ Edipo re il coro domanda al protagonista:”Come mai i solchi paterni poterono sopportarti fino a tanto in silenzio, o infelice?  ” I solchi paterni sono quelli già seminati dal padre di Edipo, Laio che fecondò Giocasta. Nelle Trachinie, Deianira lamenta l’assenteismo coniugale di Eracle il quale, come eroe, è impegnatissimo, e come marito si comporta alla pari di un colono assenteista che, avendo preso un campo lontano, va a vederlo solo una volta quando semina e una quando miete” (  v. 33  ). Nell’Antigone, Creonte intende ammazzare la fidanzata del suo stesso figlio, tanto, argomenta, ci sono campi da arare anche di altre (  v. 569  ).

Si può continuare la rassegna, certo parziale e limitata, con un autore moderno , uno dei massimi del Novecento, Robert Musil ( 1880 – 1942  ) che, in L’uomo senza qualità, compie l’operazione inversa: assimila la terra alla donna. ” Ulrich la trattenne e le mostrò il paesaggio.-Mille e mille anni fa questo era un ghiacciaio. Anche la terra non è con tutta l’anima quello che momentaneamente finge di essere-egli spiegò-. Questa creatura tondeggiante è di temperamento isterico. Oggi recita la parte della provvida madre borghese. A quei tempi invece era frigida e gelida come una ragazza maligna. E migliaia di anni prima si era comportata lascivamente, con foreste di felci arboree, paludi ardenti e animali diabolici”.

Concludo con D’ Annunzio: in Il Piacere (  1889  ) Andrea Sperelli dichiara che ”  fra i mesi neutri  ” aprile e settembre preferisce il secondo in quanto ”  più feminino…E la terra?-aggiunge- Non so perché, guardando un paese, di questo tempo, penso sempre a una bella donna che abbia partorito e che si riposi in un letto bianco, sorridendo d’un sorriso attonito, pallido, inestinguibile. C’ è qualche cosa dello stupore e della beatitudine puerperale in una campagna di settembre!”. In Il Fuoco (  1890  ) l’ amante non più giovane, la grande attrice tragica Foscarina, viene assimilata, tra l’ altro, a ”  un campo che è stato mietuto  “. Ma ora torniamo al VI canto dell’Odissea e concludiamo questa parte relativa a Nausicaa. Dice ancora Odisseo:

Ma, signora, tu sii pietosa: da te infatti per prima sono giunto supplice dopo avere sofferto molti mali, e non conosco nessuno degli altri uomini che abitano questa città e il territorio. Fammi vedere la rocca, e dammi uno straccio da buttarmi addosso se mai venendo qui avevi un telo, dei panni. A te gli dèi concedano tanto quanto desideri nel tuo cuore, un uomo e una famiglia e la concordia vi diano buona: infatti non c’ è nulla di più forte e prezioso di questo, di quando concordi nei pensieri reggono la casa l’uomo e la donna: molto dolore per i malevoli, e gioie per i benevoli; ma soprattutto ne hanno buona fama loro (  175-185  ). Come si vede, Odisseo augura le nozze a Nausicaa, ma non propone se stesso come sposo.

L’ Itacese voleva assolutamente tornare a casa, desiderava il ritorno sopra ogni cosa. Il tabù, il divieto che Odisseo si è imposto e sente con maggior forza è (  Odissea, IX, 97  ) “  dimenticare il ritorno  ”. Ulisse non deve dimenticare la strada che deve percorrere, la forma del suo destino: insomma non deve dimenticare l’Odissea. Ma anche l’aedo che compone improvvisando o il rapsodo che ripete a memoria brani di poemi già cantati non devono dimenticare, se vogliono ”  dire il ritorno  “; per chi canta versi senza l’appoggio di un testo scritto ”  dimenticare  ” è il verbo più negativo che esista; e per loro “dimenticare il ritorno” vuol dire dimenticare i poemi, chiamati nostoi, cavallo di battaglia del loro repertorio”. Calipso

Fin dal primo canto dell’ Odissea, Atena dice a Zeus che Ulisse si trova in un’isola amena, dov’è l’ombelico del mare (  v. 50  ) e vi abita una dea la quale cerca di incantarlo con dolci e seducenti parole perché dimentichi Itaca, ma egli, per il desiderio di scorgere anche solo il fumo che balza dalla sua terra, agogna morire. Nel V canto Atena intercede di nuovo per il rientro a Itaca del suo protetto. Ricorda a Zeus che Odisseo giace soffrendo dure pene nell’isola dove Calipso lo tiene per forza. Il padre degli dèi si convince e manda Ermes a Ogigia perché ordini a Calipso di lasciar partire Ulisse. Ermes si recò nell’ isola a volo, poi entrò nella grande spelonca, dove abitava la ninfa dai bei riccioli: la trovò, ma non con lei non c’era Odisseo il quale piangeva seduto sulla riva, lacerandosi l’anima con lamenti e dolori, e lanciava lo sguardo sul mare infecondo versando lacrime.

Calipso chiese a Ermes la causa della sua venuta, non senza offrirgli il pranzo ospitale. Ermes riferì alla ninfa il volere di Zeus. Allora rabbrividì Calipso, luminosa tra le dèe (  v. 116  ), poi si mise a parlare. Rinfacciò agli dèi la loro invidia della felicità delle dèe con i mortali ricordando i casi di Aurora e del cacciatore Orione, che fu ucciso da Artemide, e di Demetra con Iasìone che venne fulminato da Zeus. Ora l’ invidia degli dèi colpisce Calipso e gli vuole strappare Odisseo che ella aveva salvato dopo il naufragio causato dal fulmine abbagliante di Zeus. Non è giusto, ma se questa è la volontà del Cronide, ella obbedirà: lascerà partire Ulisse, e, pur se non potrà soccorrerlo, gli darà volentieri consigli e non gli nasconderà il modo di tornare sano e salvo nella sua terra. Infine Ermes ripartì e Calipso andò in cerca del magnanimo Ulisse.

Quindi lo trovò seduto sul lido: mai gli occhi erano asciutti di lacrime, ma gli si struggeva la dolce vita mentre sospirava il ritorno, poiché non gli piaceva più la ninfa V, 151-153  ). Quattro parole per spiegare un fatto naturale colto nella sua essenzialità. Calipso gli dice che lo lascia partire, che, anzi, lo aiuterà a partire dandogli il viatico di pane, acqua, vino rosso e vesti. Odisseo è, come sempre, diffidente, ma Calipso giura sulla terra, sul cielo e sullo Stige, il giuramento più grande e terribile, che lo aiuterà con lo stesso impegno con il quale provvederebbe a se stessa poiché, dice, sono giusta e nel mio petto non c’è un cuore di ferro ma compassionevole (  vv. 190-191  ).

E’ nobile questa reazione della persona abbandonata la quale capisce le ragioni del distacco e aiuta l’ amante che se ne va. Poiché quando un uomo e una donna si scambiano aiuto e piacere, se davvero sono un uomo e una donna e non due caricature di esseri umani, non può non rimanere la riconoscenza per quanto si è ricevuto e la soddisfazione per ciò che si è dato. Segnalo, viceversa, il peccato che il Giobbe di J. Roth attribuisce a se stesso e alla moglie morta:  ” Piena di travaglio e senza senso è stata la tua vita. Nella giovinezza ho goduto della tua carne, più tardi l’ ho sdegnata. Forse è stato questo il nostro peccato. Perché non c’era in noi il calore dell’amore, ma fra noi il gelo dell’abitudine, tutto è morto intorno a noi, tutto è intristito e si è rovinato  “. Conclusione su Nausicaa

E’ dunque evidente che Odisseo non intendeva sistemarsi a Scheria sposando la principessa dell’ isola o diventando il suo amante. Certamente, trovandosi nel bisogno, il figlio di Laerte cerca di farsi aiutare, e per ricevere attenzione deve tentare di rendersi gradito. Ma lo fa come un padre che vuole piacere alla propria figliola. Piero Boitani infatti la assimila ad altre figlie, compresa la sua. “  Quando le parla la prima volta, Odisseo la scambia per un’ immortale, paragonandola ad Artemide, la figlia cacciatrice di Zeus.

Quindi, appena pensa che possa essere una mortale, la vede come un “  germoglio che muove alla danza  ”, una cosa mai vista, che desta “  sgomento  ” (  m’ échei eisoróonta, “  stupore mi prende guardandoti  ”  ). Germoglio, sì: thállon; e subito “  virgulto di palma  ”…La immagina muoversi a passo di danza, Odisseo: e Nausicaa, per noi, fa il suo ingresso nel coro, aerea e lieve, sottile e flessuosa come un virgulto di palma (  la similitudine verrà raccolta, non per niente, da Saffo  ). Ella è la benedizione del padre, della madre, dei fratelli, del futuro marito: fonte di felicità, di beatitudine. Nausicaa è una Grazia e la grazia. Assomiglia in molti modi a quelle giovani donne delle quali, dalla tragedia di Re Lear ai “  romances  ”, sono pieni gli ultimi drammi di Shakespeare. Cordelia, Marina, Imogene, Perdita, Miranda. Figlie, tutte, di vecchi padri, tutte benedizioni, grazie beatificanti: sulla Terra, qui e ora.

Nausicaa è la consolazione, la speranza, la vita. Per me, ora, è mia figlia Giulia: colei che sentivo come un’ intrusa e che adesso è fiorita come un germoglio di palma: tu mi hai salvato, o fanciulla: tu mi hai dato la vita. Volevo, quando nacque, chiamarla proprio Nausicaa, ma moglie e figli si ribellarono al nome straniero, antiquato-dicevano- e troppo letterario. Intanto, mentre scrivo queste righe, sto per recitare un’altra volta, a Ravenna e a Certaldo, un Odisseo e Nausicaa in greco. E all’improvviso mi rendo conto che Nausicaa significa “  colei che primeggia fra le navi”. E’ Giulia, la più cara delle navi: snella e leggera, muove a passo di danza sulle onde del mare, mentre io mi faccio pesante e navigo, assonnato, verso il porto  ”. Penelope al ritorno di Odisseo

Un’ultima breve considerazione riguarda il comportamento di Penelope al ritorno di Odisseo. I due coniugi hanno in comune l’intelligenza, l’ accortezza (  Odissea, I, 329  ). Odisseo travestito da mendicante ravvisa in Penelope le buone qualità del re che fa prosperare la sua terra (XIX, 107111  ). Lo stesso Antinoo, pur polemizzando con Telemaco, riconosce che Penelope è una donna eccezionale: “  la tua cara madre che sa troppe astuzie”. Atena le ha donato atti bellissimi, pensieri di valore e astuzie quali nemmeno le antiche eroine Tiro, Alcmena e Micene sapevano fare e dire. E’ certamente una lode ambigua, è un elogio pieno di sospetto, non privo di paura. Infatti Penelope ispirata da Atena pose per i pretendenti l’arco e il ferro nel megaron di Odisseo (  XXI, 1-

Un altro aspetto che associa Penelope a Odisseo è la diffidenza. “  Essendo la diffidenza un tratto tipico della saggezza omerica, Penelope non crede né a Euriclea, né a Telemaco  ”. In precedenza Odisseo aveva messo in dubbio le intenzioni di Calipso, non certo cattive. Non si fidava della ninfa che voleva fargli passare un abisso immenso di mare su una zattera.

Café Liberty

Uguale cautela usa Odisseo con Leucotea che gli offre il velo-talismano con il quale dovrà gettarsi dalla zattera. Odisseo ci pensò su, e non si tuffò, ma fu gettato in acqua da un’onda. Quando Odisseo arriva a Itaca, gli si fa incontro Atena simile a un giovinetto pastore di greggi, e il reduce, sebbene non richiesto della identità, non le dice il vero ma si inventa di essere scappato da Creta dove avrebbe ucciso un figlio di Idomeneo. Un’identità da Cretese è scelta bene: lo afferma proprio il cretese Epimenide, profeta delle Erinni. Allora rise Atena e, rivelandosi, lo accarezzò, poi gli disse: “ Sarebbe scaltro e astuto ingannatore chi ti superasse in tutti gli inganni, anche se è un dio che ti incontra  ”.

La dea quindi gli riconobbe una somiglianza con se stessa: “ Anche io sono come te: conosciamo entrambi il modo di trarre profitto: tu sei di gran lunga il migliore di tutti i mortali per consiglio e parola, io fra tutti gli dèi sono famosa per senno e accortezza  ” (  299  ). Sono entrambi capaci di individuare i nessi. Intelligenza in greco è da suniehmi, “  metto insieme  ”. Ebbene, Penelope è simile a suo marito. In fondo l’ Odissea è un campo di battaglia dove gli intelligenti (  Odisseo, Telemaco, Penelope  ) prevalgono sui cretini (  i proci, il Ciclope etc.  ). Gli stupidi sono anche immorali, smodati, eccessivi nel mangiare e nel bere, violenti. Penelope ha in comune con il consorte anche il prendere tempo. Odisseo con il Ciclope adotta la strategia dell’attesa, come Penelope con i proci.

Nella diffidenza poi la moglie supera il marito: Penelope è restia a credere alla vera identità di Odisseo anche dopo la mnesterofonia che l’ ha rivelata: a Euriclea che le annuncia il massacro dei proci, la regina dice che i pretendenti sono stati ammazzati da qualche nume ed essi per la loro stupida presunzione sono andati in malora. Poi Penelope scende dal piano alto. Quindi i due sposi siedono uno davanti all’ altro e nessuno dei due parla. Odisseo seduto nel chiarore del fuoco vicino a un’alta colonna aspettava che sua moglie gli dicesse qualcosa. “  Si produce dunque una scena surreale, dove il silenzio esprime la reciproca attesa di due intelligenze che si guardano allo specchio, e viene rotto dall’unico terzo possibile, Telemaco  ”.

Telemaco rimprovera la madre perché non butta le braccia al collo del marito e Penelope gli risponde che il suo cuore è attonito nel petto. Comunque se l’ ospite è davvero Odisseo, loro due si riconosceranno poiché hanno dei segni che solo loro due conoscono. La gioia di Penelope è trattenuta in quanto “  vaccinata dalla minaccia della delusione  ” (  Paduano  ). Odisseo a un certo punto si irrita davanti alla diffidenza eccessiva di Penelope e la chiama disgraziata, cui gli dei fecero un cuore duro, quindi ordina a Euriclea di preparargli il letto dove può dormire anche da solo. La moglie lo mette alla prova e  ordina alla nutrice di stendere per l’ospite il letto robusto di Odisseo fuori dalla solida stanza.

Odisseo a questo punto si arrabbia e perde il solito autocontrollo: il suo letto infatti non è spostabile siccome l’ ha fatto lui, con le sue mani su un tronco d’olivo grosso come una colonna. Intorno a quello egli costruì la stanza. Così Penelope ha segni sicuri (  saldamente fissati al suolo  ). Quindi c’ è il ricongiungimento pieno. E’ il lieto fine canonico della letteratura occidentale sottolineato dagli alessandrini Aristarco e Aristofane di Bisanzio, ma il valore dell’ incontro è accentuato pochi versi più avanti: i due sposi, quando ebbero goduto dell’amore gradevole godettero nel parlarsi. Penelope raccontò i suoi martìri, quanto sopportò dai proci sfacciati, e Odisseo narra le pene subite e inflitte. Più intenso per due personaggi siffatti è il valore della parola che il contatto tra i corpi.

A.la.t.Ha.

Odisseo menziona tutte le tappe del suo pellegrinare: i Ciconi, i mangiatori di Loto, il Ciclope, Eolo, i Lestrigoni, Circe, l’ incontro con le ombre de morti, con Tiresia e con la madre, le Sirene, Scilla e Cariddi, le vacche del Sole, Calipso la quale desiderava che fosse suo sposo nelle profonde caverne, ma non poteva convincerlo, sebbene gli promettesse che lo avrebbe reso immortale e immune da vecchiezza per sempre. L’ultima tappa prima del lieto fine con Penelope è l’ isola dei Feaci che lo hanno onorato come un dio (  XXIII, 339  ) e l’ hanno riportato a casa. Ma di Nausicaa nemmeno una parola. Certamente la simpatia reciproca tra Odisseo e la fanciulla in fiore non sarebbe riuscita gradita a Penelope, un fiore di vent’ anni prima. Visto, come si è detto, che i due erano tanto simili, non è impossibile che anche Penelope abbia nascosto qualcosa a Odisseo, al figlio, a Laerte, ingannandoli come aveva ingannato i suoi pretendenti con la storia del sudario di Laerte.

Concludo la già lunga sezione sulle donne dell’ Odissea con il massacro delle ancelle che non avevano disdegnato i proci come aveva fatto la loro regina. Siamo nella parte finale de XXII canto, subito dopo la strage dei proci. Odisseo ha appena terminato la mnesterofonia, quando Euriclea gli dice che delle cinquanta ancelle, dodici giunsero all’impudenza, ossia non rispettarono i padroni. Quindi la nutrice emerita vorrebbe portare la buona notizia a Penelope, ma Odisseo le ordina di non svegliarla ancora: prima Euriclea deve convocare le dodici ancelle sfrontate. Quindi comanda a Telemaco, al porcaro Eumeo e al bovaro Filezio di far pulire la sala alle ancelle infedeli e di ucciderle.

Le donne entrarono tutte insieme “terribilmente gemendo, versando gran pianto” (v. 447). Portarono fuori i cadaveri dei proci, e pulirono i seggi e le mense con acqua e spugne dai molti buchi (XII, v. 453). Poi portarono fuori lo sporco raschiato dal suolo. Quindi vennero ristrette in breve spazio dal quale non potevano scappare e Telemaco disse che non avrebbero ucciso con una morte pulita le donne che versavano insulti sul capo di Telemaco e di Penelope. Quindi le impiccarono: allora “  un orrido letto le prese  ” perché morissero nel modo più miserevole come tordi dalle larghe ali o colombe prese in una rete.

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